Crisi della democrazia costituzionale e dello Stato di diritto: un invito a proseguire la discussione in occasione dei trent’anni della rivista Diritto Pubblico

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di Alessandra Pioggia e Stefano Civitarese Matteucci

Quest’anno la rivista Diritto Pubblico compie trent’anni dalla sua fondazione.

Non c’è modo migliore, per celebrare questo traguardo, che tenere viva la discussione sui temi chiave del nostro tempo, con il rigore e la responsabilità che sempre è richiesta agli studiosi e alle studiose che si candidano a contribuire allo sviluppo della conoscenza.

In seno all’associazione Amici del Diritto Pubblico, che della rivista è l’anima collettiva, già dalla fine del 2024, abbiamo individuato la crisi della democrazia costituzionale e dello Stato di diritto come tema di discussione. Il dibattito è iniziato con un primo incontro il 6 dicembre a Firenze e il contributo di Pietro Costa, pubblicato nel numero 1/2025 della Rivista, è uno degli esiti di quell’incontro.

Il 4 luglio di quest’anno, torneremo a riunirci a Firenze per proseguire quella discussione. La introdurranno due studiosi, che della Rivista sono stati direttori: Carlo Marzuoli e Cesare Pinelli. A partecipare con i loro contributi saranno le studiose e gli studiosi che in questi trent’anni si sono presi cura della Rivista animando il direttivo e la redazione, che ne rappresentano l’asse portante.

Ma il 2025 è anche l’anno in cui l’ultimo importante saggio di Andrea Orsi Battaglini, il fondatore e primo direttore della Rivista, compie vent’anni e viene ripubblicato nella collana Biblioteca, edita da Giuffrè, con le prefazioni di Leonardo Ferrara, Bernardo Sordi e Aldo Travi. La ricerca dello Stato di diritto, che dà il titolo al libro, inizia con una “domanda stravagante”, quella sulla conformità alla Costituzione della giurisdizione amministrativa. Una domanda che, ben oltre il suo oggetto, mette l’intera comunità di studiosi e studiose di fronte alla necessità di continuare ad interrogare il diritto e il sistema che su di esso si edifica alla luce della Costituzione, nella consapevolezza che su questo si regge la scommessa della democrazia costituzionale. 

Dell’esito dell’incontro di studio del 4 luglio daremo atto nell’ultimo numero della Rivista dell’anno 2025, che raccoglierà gli atti del seminario, insieme ad alcuni studi sulla fortuna che il pensiero originale e sfidante contenuto nell’ultimo volume del suo fondatore ha avuto in questi vent’anni.

Guardando ai saggi che, nei trent’anni di vita della Rivista, sono stati pubblicati in Diritto Pubblico, è interessante notare come il tema della democrazia sia stato affrontato in modi diversi, che per vari aspetti rispecchiano i tempi e le vicende che negli ultimi tre decenni hanno attraversato e stanno attraversando e ridefinendo il mondo occidentale.

Nei primissimi anni della Rivista, la democrazia è prevalentemente oggetto di analisi nel suo rapporto con la dimensione costituzionale dei diritti. Con l’inizio del secolo attuale, fanno la loro comparsa studi sulle trasformazioni che incidono sul funzionamento dei sistemi democratici: dall’esterno, come la globalizzazione, e dall’interno, come i meccanismi elettorali, le sfide del pluralismo, la laicità, l’attivismo delle comunità, la partecipazione, il ruolo dell’amministrazione.

Negli ultimi anni, oggetto delle analisi diventano, invece, i fattori di crisi della democrazia costituzionale: il populismo nelle sue diverse forme, compresa quella digitale, la disintermediazione della volontà popolare, la sua manipolazione, la disinformazione, i grandi poteri privati, la globalizzazione economico finanziaria, con i suoi effetti di inversione del rapporto fra Stato e mercato nell’individuazione dei bisogni da soddisfare, ma anche di accelerazione della decisione politica sull’immediato presente, con il tramonto della stessa possibilità di progettare democraticamente una società migliore.

Gli studi ospitati nella Rivista rispecchiano una tensione che percorre la pratica del diritto e il dibattito pubblico. Sullo sfondo ci sono prima che le questioni teoriche, le concrete vicende storiche e politiche. La fragile tenuta delle “nuove” democrazie, come nei casi polacco, ungherese e, da ultimo, rumeno, preoccupa l’Europa, ma non meno preoccupante è la torsione a cui è sottoposta una democrazia stabilizzata, come quella degli Stati Uniti, dalla seconda presidenza Trump. Anche nelle democrazie europee, la crescita di partiti di estrema destra o populisti, come il Rassemblement National in Francia, Vox in Spagna e AfD in Germania, sono il segnale di una tensione che origina dalla crisi degli equilibri costituzionali e preme per una loro rottura definitiva. Certamente, le ferite che le guerre infliggono non solo alle comunità che abitano le terre straziate dai conflitti armati e dalle bombe, ma all’intera collettività umana, non sono fattori che possiamo tenere fuori dalla crisi della democrazia costituzionale. Lo dimostrano questioni chiave del dibattito democratico nella stessa Europa, come quelle della difesa comune, del ruolo dell’Unione e, non ultime, quelle relative al rapporto tra sostenibilità dei debiti pubblici, diritti sociali e spese per armamenti. Ma anche a livello interno, l’equilibrio fra legittimità delle decisioni della maggioranza e dimensione costituzionale delle garanzie è sotto pressione, come dimostrano gli attacchi alla magistratura, l’insofferenza verso la libertà di stampa, l’ambizione a una ulteriore concentrazione di poteri sull’esecutivo.

Ci troviamo, insomma, di fronte a democrazie che entrano in crisi dall’interno e che si trasformano più o meno profondamente, ma in una direzione che ne mette in discussione la stessa essenza. Nella letteratura internazionale vicende come queste sono comunemente definite in termini di democratic backsliding, intendendo riferirsi all’erosione da parte dei governi in carica, con gli stessi strumenti messi a loro disposizione dall’ordinamento, di valori e pratiche tipici delle democrazie costituzionali, con l’obiettivo di inibire atteggiamenti critici e indebolire l’opposizione, neutralizzare gli istituti di garanzia e superare quei limiti al potere politico della maggioranza che fanno di una democrazia una democrazia costituzionale, legandola indissolubilmente allo Stato di diritto.

Il collegamento tra legalità (garanzie) e democrazia presenta però aspetti complessi; ciò ancor più se si fa riferimento alla democrazia costituzionale. Nella Comunicazione n. 158/2014 la Commissione europea osserva che lo Stato di diritto è «la spina dorsale di ogni democrazia costituzionale moderna. È uno dei principi fondanti che discendono dalle tradizioni costituzionali comuni di tutti gli Stati membri dell’Ue e, in quanto tale, è uno dei valori principali su cui si fonda l’Unione». Tutti questi termini sono, però, disputati.

Si pensi solo al fatto che tanto dello Stato di diritto quanto della democrazia esistono accezioni formali e sostanziali, ma anche ricostruzioni minimali, a cui si contrappongono ricostruzioni diverse, che accolgono al suo interno anche un progetto di società.

Secondo una definizione minimale, reperibile nella letteratura internazionale, una democrazia costituzionale deve includere tre componenti interconnesse: – un sistema elettorale sufficientemente libero ed equo che consenta l’alternanza pacifica dei partiti al governo attraverso il confronto tra diverse opzioni politiche; – il riconoscimento di diritti civili e politici intrinseci a tale processo democratico, quali libertà di parola e di associazione; – istituzioni giuridiche in possesso di indipendenza e integrità per garantire tali processi e diritti nei confronti di pressioni da parte dei governanti.

A tale definizione minimale si contrappone, però, una definizione di democrazia costituzionale che potremmo chiamare “forte”.   Secondo tale versione, il rapporto fra la dimensione democratica del potere decisionale espresso dalle istituzioni rappresentative e il quadro costituzionale entro il quale tali decisioni si esprimono si inscrive in un progetto, del quale è parte essenziale la garanzia dei diritti sociali fondamentali.

Nel proseguire il dibattito, apertosi con l’incontro del 6 dicembre 2024 e che continueremo quest’anno il 4 luglio, sembra utile individuare alcune piste di analisi che speriamo siano utili allo scambio di opinioni che intendiamo animare.

  • L’espressione democrazia costituzionale indica anche un’antitesi: quella fra la volontà democratica della maggioranza legittimata dal popolo, che si esprime innanzi tutto con la legge, e i limiti a questa volontà, che derivano dal patto costituzionale su cui si fonda la stessa democrazia. Se questo non è in discussione, occorre però tornare a domandarsi quali siano questi limiti. In altre parole, quale idea di democrazia costituzionale emerga dal continuum tra una concezione minimale (in cui sono protette libertà e regole del gioco) e una sostanziale, in cui i limiti riguardano anche una qualche forma di giustizia sociale. La questione oggi non può risolversi solo con riferimento al nostro testo costituzionale, che pone l’eguaglianza sostanziale ad architrave del suo impianto, ma deve tenere conto anche della dimensione eurounitaria in cui tutto questo si ambienta. Se la garanzia dello Stato di diritto, alla quale indubbiamente l’Europa non si sottrae, è però presidiata solo con riferimento alle libertà e poco o quasi per nulla alla dimensione della solidarietà e della coesione sociale, anche la democrazia costituzionale si trasforma. In altri termini, nel momento in cui i vincoli economico finanziari riducono l’esigibilità dei diritti sociali e la dimensione legale delle pretese che ad essi danno pienezza, anche la collocazione lungo quella linea di cui si diceva cambia. E non si tratta, ovviamente, di uno spostamento solo quantitativo: a trasformarsi, o forse a perdersi, è il progetto di società che qualifica l’idea “forte” della democrazia costituzionale, lasciando spazio a un ordine sociale senza progetto. Può una democrazia minimalista o avaloriale, diretta, cioè, esclusivamente a regolare la contesa per il potere tra le élites, evitare la deriva verso forme autocratiche o plebiscitarie?
  • La democrazia costituzionale, nella sua relazione con il principio dello Stato di diritto, richiede organi di garanzia che siano in grado di farne valere i limiti anche nei confronti del potere della maggioranza. Un potere che certamente si esprime, al suo massimo livello, attraverso la legge, ma non solo con quella, visto il sempre più ricco arsenale di strumenti di decisione di cui oggi possono godere le maggioranze di governo. Altrettanto rilevante è, quindi, allargare lo sguardo agli strumenti di garanzia nei confronti di altre modalità di esercizio del potere. Non solo il giudice costituzionale, quindi, ma anche gli altri giudici e forse anche alcune autorità indipendenti. Disputato, in questo contesto, e quindi meritevole di ulteriore discussione, è il ruolo dell’amministrazione pubblica. Non tanto quando essa esercita poteri di indirizzo, in nome del principio di maggioranza, ma quando gestisce ed eroga quei servizi che danno corpo ai diritti sociali fondamentali, sui quali anche si edifica l’idea di democrazia costituzionale fatta propria dalla nostra carta fondamentale. L’amministrazione può essere un presidio di garanzia? E quali garanzie nei confronti dell’amministrazione? È sufficiente, per esempio, il classico arsenale del controllo del giudizio amministrativo sulla discrezionalità?
  • Quando si allude alla democrazia costituzionale, ci si riferisce a qualcosa che include lo Stato costituzionale, ma che non si limita ad esso. L’organizzazione pubblica non ne esaurisce l’ambito, poiché il concetto di democrazia costituzionale riguarda anche il modo in cui si relazionano Stato e società. La collettività legittima elettoralmente il potere legislativo ed esecutivo ed è, al tempo stesso, protetta dai limiti che i poteri da essa legittimati incontrano nella legalità costituzionale. Il rapporto fra comunità eleggente ed eletti si fonda sulle aspettative dei cittadini e delle cittadine nei confronti della politica, sull’idea che attraverso il voto si possa far prevalere un progetto su un altro, in un contesto di diritti garantiti e, quindi, senza sopraffazione. Alla base c’è però la possibilità di scegliere, decidere, conoscere. Cosa succede quando questa possibilità è seriamente messa in discussione dalla menzogna e dalla disinformazione? Si può ancora parlare di legittimazione democratica del potere? Si tratta di domande che si riflettono anche sui temi precedenti, chiamando in causa le garanzie della democrazia costituzionale e gli organi che se ne fanno carico.
  • Un’ultima questione le raccoglie tutte e, al tempo stesso, le supera nella sua drammaticità. Possiamo sintetizzarla con la domanda che poneva Dharendorf in un articolo su Repubblica nel 2004: cosa succede se la democrazia elegge chi non crede nella democrazia? Una domanda che riporta al centro lo Stato di diritto, nella sua dimensione costituzionale, e, al tempo stesso, nel suo apparente poggiare sul paradosso della sua legittimazione democratica.

Di tutto questo parleremo il 4 luglio e di questo continueremo responsabilmente ad occuparci sempre come studiose e studiosi sulle pagine di questa rivista.

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