Didattica A Distanza

di Leonardo Ferrara

1.

“Abbiamo conosciuto un tempo dove bastava che un insegnante entrasse in classe per far calare il silenzio. Era lo stesso tempo dove era sufficiente che un padre alzasse il tono della voce per incutere nei suoi figli un rispetto misto a timore” (M. Recalcati, L’ora di lezione, 3).

Ecco, conosciamo di nuovo un “dad” (un padre, giocando sull’acronimo), che fa calare il silenzio appena entrato in classe. Questo “dad” si chiama Google meet, Webex, Microsofts Teams, Zoom. Basta spegnere il microfono degli studenti. Oppure si chiama video-lezione, assumendo sfumature onanistico-esibizionistiche o solipsistiche.

Ma in questi mesi di Covid è davvero tornato il momento dell’autorità e del timore? O vi sono altri rischi? E non si sono dischiuse, invece, nuove opportunità?

In modo molto empirico ed elementare vorrei rispondere a queste domande, iniziando a segnalare tre diverse reazioni a questo cambiamento non voluto nelle abitudini dei docenti (mescolando pure università e scuola, dove però sarebbe necessaria un’analisi a sé stante), considerando poi l’utilizzazione dell’insegnamento a distanza alla luce della ripresa della didattica universitaria (dopo l’estate), nonché nella prospettiva di lungo periodo e di auspicato rientro nella normalità. 

2.

La prima reazione: quella negativa (legata o meno alla diffidenza verso la tecnologia)

“Per i docenti […] i feedback dell’utenza non sono più diretti ma mediati da inespressivi monitor che filtrano le reazioni distorcendone la realtà” (www.orizzontescuola.it)

la DaD è l’azzeramento della socialità; la degradazione dell’insegnamento da ‘processo reale sociale’, localizzato in uno spazio vitale, a ‘realtà esclusivamente virtuale’

l’Università è prima di tutto un ‘luogo’, non ‘istituzione’ o ‘organizzazione’: un luogo di ‘incontro’ e ‘confronto’ fra studenti e studenti, fra studenti e docenti e fra docenti e docenti (dove i docenti corrispondono a una realtà composita che comprende anche cultori, dottorandi, borsisti, assegnisti, ecc.)

La seconda reazione: quella positiva

“gli alunni più timidi, introversi, di solito gregari all’interno del gruppo classe, hanno sortito risultati di apprendimento migliori rispetto alla didattica in presenza” (www.andrialive.it)

nelle Università molti hanno riscontrato l’accresciuto interventismo degli studenti, e quindi anche l’accresciuto dialogo, dovuto in particolare all’utilizzo della messaggistica delle anzidette piattaforme telematiche, che evidentemente abbatte le loro ritrosie e paure, riportandoli nel loro mondo dei social

vedersi a distanza avvicina

va, tuttavia, riconosciuto che in molti sia dalla parte dei docenti che dei discenti hanno reagito alla drammaticità della situazione con un surplus di impegno probabilmente non ripetibile in condizioni normali, con uno sforzo non comune di stabilire per l’appunto una relazione 

dalla parte dei docenti basterebbe considerare che il ricorso alle video-lezioni (in aggiunta o in alternativa alle piattaforme) ha spinto alcuni a limare come non mai le proprie lezioni (a scapito della parresia – la franchezza -, magari)

la DaD persegue anche un fine di uguaglianza o di contrasto alle diseguaglianze nel godimento di un diritto eguale (come direbbe Pioggia), sia perché consente un risparmio su una pluralità di costi (consentendo per esempio di investire nel diritto allo studio), sia perché redistribuisce le opportunità, dal momento che le lezioni possono venire registrate e rese fruibili ad libitum

può in questo modo ridimensionare persino la distinzione tra frequentanti e non frequentanti

consente comunque di raggiungere una platea più ampia di beneficiari e, in particolare, quella porzione di studenti che per diverse ragioni non è in condizione di frequentare (es. lavoratori, neogenitori, studenti che assistono familiari in situazioni di disabilità, ecc.). 

tuttavia, la Dad ha al tempo stesso accentuato le diseguaglianze: mi riferisco al digital divide … 

la Dad, infine, ha rappresentato una opportunità per chi voleva coglierla (considerate pure le peculiari esigenze delle discipline impartite), disvelando potenzialità che potevano già essere sfruttate sulla base del limite del 10 % del suo utilizzo nella didattica a regime

La terza reazione (la prendo da M. Foucault): sorvegliare e punire, con buona pace del diritto alla privacy e della tutela dei dati personali. La Dad ha risvegliato mai sopite tendenze educative autoritarie

Di fronte al rischio di frodi da parte degli studenti negli esami on line vari atenei hanno emanato, anche con decreto, “indicazioni operative” per il loro svolgimento, richiedendo, per esempio, che l’esaminando durante la sua esposizione orale tenesse lo sguardo costantemente rivolto verso la videocamera o che il docente si cautelasse con un “inquadramento periscopico” dell’ambiente dello stesso studente

Il che ha fatto osservare che “il professore appare, nemmeno troppo in filigrana, come un formulatore seriale di questionari precompilati; un esperto di schede perforate che tratta le nozioni acquisite come il punto di arrivo, e non di partenza, per la valutazione” e che “lo studente, ridotto a sua volta a semplice macchina mnemonica, si presenta come un criminale in pectore, il cui ultimo obiettivo non è l’apprendimento, ma l’audace conquista di un trentesimo sofisticato” (G. Della Morte e R. Natoli, sulla rivista il Mulino)

3.

Vi è qualcosa di corrispondente al vero in tutte e tre queste reazioni (che confermano che è il fattore umano ad avere fatto la differenza tanto nella didattica che nell’apprendimento), ma sembra necessario un approccio che tenga conto di molti altri aspetti, che vanno tutti a toccare questa domanda (che è un po’ il problema dei problemi): stiamo assistendo a un mutamento di senso dell’istruzione?

Una domanda che ne cela molte altre.

La didattica a distanza verrà istituzionalizzata? Sarà una istituzionalizzazione graduale? Sostituirà l’esperienza che tiene uniti, da un millennio, docenti e studenti in un percorso dialettico convergente di assimilazione critica del sapere, di confronto delle opinioni, degli orientamenti di pensiero e delle metodologie scientifiche? Metterà a nudo e rafforzerà il mercato globale dell’istruzione, facendo di questa un prodotto standard, progettato per essere del tutto indipendente dal suo produttore, esteriorizzando, dunque, il sapere rispetto al sapiente e rinunciando all’hic et nunc della lezione (la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo e nel momento in cui si produce)? Ci sarà un’organizzazione che per vendere lezioni online riunirà i migliori docenti al mondo (magari i più geniali oppure solo i più fotogenici), cosicché gli studenti si iscriveranno solo lì? La didattica a distanza porterà, nondimeno, alla ‘informatizzazione’ dell’educazione, alla sua trasformazione in ‘autoapprendimento’ dello studente facilitato dai nuovi strumenti tecnologici (con interessi e spinte enormi delle multinazionali dell’informatica) e alla progressiva emarginazione e riduzione del numero dei docenti? La pratica dell’insegnamento sarà ridotta alla trasmissione di informazioni o, come si preferisce dire, di competenze, uccidendo “il rapporto erotico del soggetto con il sapere” (ancora Recalcati, 4)? Finirà per corrisponde a un complesso di ‘istruzioni per l’uso’, destinate a favorire la tendenza all’omologazione culturale? L’apprendimento di pari passo si trasformerà in semplice assimilazione e riproduzione di nozioni e conclusioni preconfezionate, erogate universalmente attraverso il web?

E seppure questi rischi sono realistici, non sono comunque al tempo stesso straordinarie le possibilità offerte dai nuovi strumenti di comunicazione? Perché allora lasciarle in prevalenza a chi vuole sfruttarle per fini commerciali o di propaganda politica (come direbbe Bruti Liberati), soprattutto in un’epoca in cui non solo la scuola ma anche l’università è già scarsamente decisiva nella formazione degli individui?

Quegli stessi rischi non sono, inoltre, un po’ sopravvalutati, dimenticando che nella dad non esistono solo lezioni registrate e modalità informatiche di autoapprendimento ma anche, in particolare, lezioni in diretta e piattaforme a dimensione di laboratorio (si pensi, per es., ai quiz e alle forme di verifica dell’apprendimento da svolgere al termine di un argomento trattato in classe; o ai test di valutazione delle singole lezioni svolte in classe dal docente, tese ad accertare l’effettiva comprensione da parte degli studenti dei temi trattati)? Soprattutto, non sarà trascurato il valore aggiunto di un sapiente mixaggio delle diverse componenti della dad (anche il libro è dad) con la (le diverse componenti della) didattica tradizionale in presenza?

4.

Quest’ultimo interrogativo ci porta diritti pure ai più circoscritti dilemmi della ripresa a settembre nella costante esigenza di un certo distanziamento: 

didattica mista (blended, come viene chiamata), sincrona, asincrona, sincrona e asincrona insieme (in aula con pochi studenti, in streaming con gli altri, mettendo pure a disposizione le registrazioni)? oppure the classic tutorial system, adapted for the online world (Barret, The New York Times), che significa video lezione più piccole sessioni in presenza (professore e assistenti che discutono criticamente con un numero limitato di studenti)?

C’è chi pensa che la sincrona sia una perversione: perché non si può fare bene le due cose insieme (la lezione dal vivo e quella registrata, che invero sono o dovrebbero essere molto diverse) e perché si dà l’idea che la didattica a distanza sia la ripresa webcam di quella in presenza

Non bisognerà però cominciare a porsi anche una questione di rispetto della libertà (costituzionale) di insegnamento?

5.

Solo domande, tante domande … come richiedono i tempi …

6.

Un ringraziamento va a Wladimiro Gasparri, per i preziosi suggerimenti che mi ha dato. Un altro a Emilio Santoro, di cui ho utilizzato alcuni spunti emersi nella discussione interna all’Ateneo fiorentino.