I dazi presidenziali tra executive orders e separazione dei poteri

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di Marco Betzu

Università degli Studi di Cagliari

Il secondo mandato di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti sta sottoponendo l’ordinamento costituzionale americano a notevoli scosse telluriche. Tutte investono il principio della separazione dei poteri e sono espressione di una visione politica fondata sulla compenetrazione tra il sovranismo nazionalista e il populismo. Non solo perché si basano su forme digitali di comunicazione diretta tra il Capo e il Popolo, senza alcuna intermediazione istituzionale, ma anche e soprattutto perché veicolano contenuti divisivi: il noi contrapposto al loro, l’amico al nemico, le masse alle élite.

Non è certamente un inedito, come sa chiunque abbia un minimo di coscienza storica.

L’elemento di novità è dato dal contesto socio-economico nel quale i rigurgiti nazionalpopulisti pretendono di imporsi, caratterizzato da un sistema nel quale le interconnessioni tra le economie nazionali o macro-regionali sono così forti da rendere impossibile il ritorno «a una qualche mitica “età dell’oro” con alte barriere commerciali» (Rodrik, La globalizzazione intelligente, Laterza, 2014, 329).

Dazi vs. multilateralismo

Il ritorno dei dazi attraverso i numerosi executive orders del Presidente Trump rappresenta un attacco mortale al principio fondante dell’economia internazionale che si affermò dalle macerie della Seconda guerra mondiale: il multilateralismo, ovvero l’idea che la cooperazione istituzionalizzata neutralizzi o quanto meno riconduca i conflitti commerciali entro regole predefinite per la loro soluzione, facilitando il raggiungimento di soluzioni efficienti – e dunque ottimali – per tutti i membri. Un gioco a somma positiva per i suoi partecipanti, insomma, come altrove ho cercato di spiegare utilizzando il dilemma del prigioniero (Betzu, Stati e istituzioni economiche sovranazionali, Giappichelli, 2018, 77 ss.).

Le barriere commerciali introdotte attraverso la volontà di potenza dei singoli Stati, invece, se apparentemente sembrano massimizzare l’interesse individuale, in realtà conducono, nel medio periodo, a un risultato deteriore proprio per chi ha deciso di non cooperare. La lezione del Smoot – Hawley Tariff Act del 1930, che in tre anni determinò, per gli Stati Uniti, un crollo del 66% delle importazioni e del 61% delle esportazioni, portando il tasso di disoccupazione al 25%, sembra essere stata dimenticata.

Dazi vs. separazione dei poteri

A complicare il quadro, nella prospettiva dei giuspubblicisti, è l’evidente torsione che l’abuso degli executive orders ha arrecato al sistema costituzionale statunitense.

La Costituzione americana attribuisce espressamente al Congresso il potere di stabilire e riscuotere tasse, dazi, imposte e accise (art. I, sez. 8). Al Presidente, invece, spetta adottare executive orders, ovvero atti presidenziali attraverso i quali dare esecuzione alla Costituzione o alle leggi federali. Pur trattandosi di un potere altamente discrezionale, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha chiarito che esso può essere esercitato esclusivamente ove derivi, oltre che dal testo costituzionale, da un atto del Congresso, perché «nel quadro della nostra Costituzione, il potere del Presidente di vigilare sulla fedele esecuzione delle leggi confuta l’idea che egli sia un legislatore» (Youngstown Sheet & Tube Co. v. Sawyer, 343 U.S. 1952).  Sulla base di questo principio la Corte annullò un executive order con il quale il Presidente Truman, a fronte di una contesa sindacale durante la Guerra di Corea, aveva disposto il controllo federale delle acciaierie.

Ma fu la concurring opinion del giudice Jackson a esercitare una particolare influenza sulla giurisprudenza successiva, che continua a seguire lo schema tripartito da questi elaborato:

  1. se l’executive order si fonda su un atto del Congresso, il potere del Presidente è pieno;
  2. se l’executive order è in contrasto con la volontà esplicita o implicita del Congresso, il potere di adottarlo deve basarsi sulle prerogative esclusive che la Costituzione riconosce al Presidente, altrimenti è illegittimo;
  3. se il Congresso e il Presidente hanno un potere concorrente nella specifica ipotesi, allora ci si trova in una zona grigia nella quale «qualsiasi conferma dell’esistenza del potere dipenderà dall’imperatività degli eventi e dal carattere imponderabile delle circostanze, piuttosto che da astratte teorie giuridiche» (Jackson, concurring).

Nel corso degli anni alcune leggi federali hanno attribuito al Presidente il potere di imporre tariffe doganali, ma lo hanno circondato di numerose e dettagliate garanzie procedurali, proprio per impedire un’invasione presidenziale nelle prerogative del Congresso. Ad esempio, la sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962 autorizza il Segretario del Commercio a porre in essere indagini volte ad accertare se l’importazione di taluni beni possa recare danno alla sicurezza nazionale, informando e consultando il Segretario della Difesa. All’esito delle investigazioni, può raccomandare al Presidente di adottare le misure necessarie a fronteggiare il pericolo, compresa l’imposizione dei dazi.

Gli executive orders emanati dal Presidente Trump nel 2025 si fondano, invece, sull’International Economic Emergency Powers Act del 1977, che attribuisce al Presidente ampi poteri per regolamentare una serie di transazioni economiche a seguito di una dichiarazione di emergenza nazionale, ma che non prende specificamente in considerazione le tariffe doganali.

E adesso?

Lo Stato della California, a guida democratica, ha chiesto alla Corte Distrettuale Federale del Distretto settentrionale della California di dichiarare nulli i dazi emanati dal Presidente Trump sulla base dell’International Economic Emergency Powers Act, perché emessi ultra vires e in violazione del principio della separazione dei poteri. Secondo il ricorso, presentato lo scorso 16 aprile, «laddove l’importanza economica e politica è così impressionante e il potere esercitato è così nuovo come nel caso delle tariffe senza precedenti imposte dal Presidente Trump, il Presidente deve disporre di una chiara autorizzazione del Congresso per giustificare le sue azioni esecutive» (par. 10). Una tale chiara autorizzazione sarebbe del tutto assente nel caso di specie, posto che la legge non prevede mai espressamente il potere di introdurre dazi e, non a caso, non è mai stata utilizzata a tal fine da nessun Presidente degli Stati Uniti prima di Trump. Inoltre, sul piano procedurale, l’International Economic Emergency Powers Act impone che il Presidente consulti il Congresso sulle misure da adottare, fermo restando che l’atto presidenziale deve trovare la sua causa in una «minaccia insolita e straordinaria in relazione alla quale è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale ai fini del presente capitolo e non può essere esercitato per nessun altro scopo».

Insomma, il legittimo sospetto è che il Presidente Trump abbia invocato l’applicazione dell’International Economic Emergency Powers Act al solo fine di non dover sottostare ai vincoli previsti dalle altre leggi federali, con la convinzione che ciò gli avrebbe garantito «l’autorità illimitata di imporre tariffe sconcertanti e senza precedenti semplicemente per decreto» (par. 109 del ricorso).

A mò di conclusione

 Non è facile fare previsioni su quali saranno gli esiti di questa vicenda. Se sul piano economico i mercati hanno già fornito una chiara risposta, non altrettanto è a dirsi per gli attori costituzionali.

Negli ultimi anni la Corte Suprema ha mostrato di adottare un approccio volto a riconoscere al potere esecutivo del Presidente una latitudine particolarmente ampia: «Ai sensi della nostra Costituzione, il potere esecutivo – nella sua totalità – è affidato a un Presidente, il quale deve provvedere affinché le leggi siano fedelmente eseguite» (Seila Law LLC v. Consumer Financial Protection Bureau, 591 U.S., 2020). Se tale orientamento venisse confermato, avremmo definitivamente davanti a noi «un panorama drammatico e inquietante caratterizzato da un ampio potere esclusivo che impedisce al Congresso di regolamentare l’operato del Presidente» (Roisman, President Trump in the Era of Exclusive Powers, Harvard Law Review. Blog Essays, 12 aprile 2025).

Il potere giudiziario finirebbe, allora, per abdicare almeno parzialmente alla sua funzione, tradendo così il principale lascito dei Framers: un sistema costituzionale nel quale «ogni parte possa costituire essa stessa, nei confronti delle altre, il mezzo atto a contenerle entro i limiti costituzionali ad esse concessi» (Federalist, n. 51).

Autore

M. Betzu

Università degli Studi di Cagliari

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