I genocidi tra storia costituzionale ed «effetto Lucifero»

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di Michele Carducci

Università del Salento

1. Quello in atto a Gaza è un genocidio non evitato. Sembra difficile negarlo per almeno cinque ragioni:

– per i numeri della catastrofe (si pensi alla dichiarazione sulla carestia dell’Integrated Food Security Phase Classification);

– perché Israele è sotto processo per genocidio a Gaza dal 29 dicembre 2023, allorquando il Sud Africa (paese in passato condannato definitivamente per le sue risalenti condotte di Apartheid) ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU un’istanza contro Israele (case ICJ n. 192), lamentando la violazione, nella striscia palestinese, degli obblighi di prevenzione derivanti dalla Convenzione del 1948 sul crimine di genocidio, e chiedendo, per questo, l’adozione di misure cautelari nelle more del verdetto definitivo, misure effettivamente imposte allo Stato israeliano però da questo mai adempiute, in consapevole inosservanza, per l’effetto, della suddetta prevenzione, senza la quale il crimine diventa inevitabile;

– perché, nel diritto penale internazionale, qualsivoglia discorso o giudizio sulle condotte statali di lesa umanità ruota intorno a due perni, che non concedono spazio ad ambiguità e prudenze semantiche, ovvero quelli dell’assenza di “gerarchia” ed “esclusività” tra i quattro crimini di genocidio, contro l’umanità, di guerra e di aggressione, allo scopo non solo di evitare che il richiamo a uno di essi escluda il riferimento agli altri, attenuando la responsabilità di chi li commette, ma soprattutto di scongiurare minimizzazioni o bilanciamenti nella rappresentazione dei fatti (ad es. nella comparazione delle violenze tra le parti in conflitto) o, peggio, giustificazioni delle condotte (come l’evocazione di indeterminati diritti all’autodifesa o alla resistenza armata o addirittura al “diritto di assedio”);

– perché, giusto alla luce dei due perni richiamati, è crescente e sempre più diffusa l’opinio iuris internazionale sul tema (da ultimo, da parte dell’Associazione Internazionale di Studiosi dei Genocidi – IAGS);

– infine, perché le parole hanno storie, sicché utilizzarle serve a non ripetere l’errore di tacere, «che è pur sempre un parlare» aveva già denunciato – ai tempi di un altro genocidio – Dietrich Bonhoeffer, ed è un tacere indecente, se tracima nell’«effetto Lucifero» della tolleranza o dei distinguo di fronte al male.

D’altra parte, per promuovere la prevenzione, il fatto grave – da prevenire – va qualificato in peius. Ecco perché il discorso sul genocidio deve essere esplicitato. È quello, in fin dei conti, che ha detto la Corte Internazionale di Giustizia nei riguardi di Israele e che si riscontra anche nell’art. 1 della legge italiana n. 962/1967, con cui si responsabilizza chiunque nelle condotte di prevenzione del genocidio o del concorso ad esso.

2. Dunque, il genocidio a Gaza c’è, quanto meno nel senso di non prevenirlo. Esso, in più, opera pure come – peggiorativo – inedito della storia costituzionale. Vediamo perché.

Nella storia, i genocidi (o stermini umani che siano stati) si possono suddividere in tre grandi epoche costituzionali:

– l’epoca degli antichi, praticata sino ai primi decenni del Novecento (si pensi allo sterminio degli Herero e Nama in Africa, per opera della Germania, e degli Armeni, nell’Impero Ottomano), contraddistinta dal fatto di essere stata promossa da regimi politici fondati sul primato dell’espansione imperiale e di guerra;

– quella dei nazisti, abilitata dal c.d. “caos” (o “poliarchia”) costituzionale ovvero da un sistema autoritario di confusione dei poteri;

– quella dei moderni (per esempio, nella ex Jugoslavia e in Rwanda), conseguente a situazioni di conflitto bellico tra regimi politici limitrofi o fazioni interne in disgregazione, solitamente a guida militare e comunque gerarchica e non democratica.

Se i genocidi degli antichi si sono persi nella memoria (per tutti valga l’assenza di memoria per il genocidio dei nativi del Nord e Sud America), salvo qualche eccezione (la Germania, solo tardivamente, nei riguardi degli Herero e Nama, mai la Turchia repubblicana nei confronti degli Armeni) quello nazista e quello dei moderni presentano due importanti esiti comuni: da quei genocidi sono nate democrazie “anti-genocidarie”, magari fragili, ma pur sempre regimi di disconoscimento della violenza e della guerra (e dello stesso genocidio, come nel caso del Rwanda); da quei genocidi è nato un diritto costituzionale fondato sul rispetto di qualsiasi persona umana e sulla solidarietà umanitaria nelle relazioni internazionali. Personalismo costituzionale e umanitarismo internazionale sono stati i frutti più preziosi “dopo la catastrofe”.

Oggi, con gli eventi di Gaza per opera di Israele, assistiamo all’insorgenza di una quarta categoria esperienziale di genocidio, marcata da due singolarità:

– provenire da una democrazia già consolidata e matura, Israele;

– fondarsi su un principio discriminatorio di natura non razziale né etnica, bensì addirittura escatologica.

Come si spiega? Israele è rubricata, negli studi di comparazione dei regimi politici, tra le democrazie “normali”, ma solo al suo interno (con la separazione dei poteri, il pluripartitismo, le libertà civili e di opinione ecc…). Tuttavia, e questo è il punto, Israele non è e non è mai stata una democrazia “normale” al suo esterno (dato che non si attiene deliberatamente al diritto internazionale generale – come appurato dalle due opinioni consultive della Corte Internazionale di Giustizia del 2004 e 2024 – non rispetta i giudici che lo applicano – se si pensa alle sue prese di posizione contro la Corte Penale Internazionale – né ottempera agli accordi sottoscritti – a partire dalle Convenzioni di Ginevra e loro Protocolli in tema di protezione umanitaria). In aggiunta, la sua sovranità rivendica un contenuto escatologico e messianico, direttamente derivato dalla Bibbia.

3. Questa duplice circostanza inquieta e pone due domande costituzionali, da non sottovalutare, una riguardante il presente e l’altra il futuro.

Quella sul presente ci coinvolge: possono, democrazie “normali,” sia al loro interno che al loro esterno, cooperare con una democrazia “normale” solo al suo interno e addirittura genocidaria al suo esterno? Il precedente degli embarghi verso il Sud Africa dell’Apartheid suggerirebbe una secca risposta negativa, che ciononostante tarda ad arrivare nella vicenda di Gaza.

Quella sul futuro: che cosa sarà Israele e che cosa sarà il Medioriente “dopo la catastrofe” del genocidio di Gaza? Nasceranno nuove democrazie? Israele diventerà “normale” anche al suo esterno?

Sulla prima domanda si sta discutendo molto in tutto il mondo. Si pensi, solo per l’Italia, alle istanze di interruzione dei rapporti di cooperazione militare con Israele e alle prime decisioni giurisprudenziali sui visti d’ingresso di cittadini palestinesi, motivate dalla qualificazione dei fatti di Gaza come genocidio in corso (per es. Tribunale di Roma, XVIII Sez. civile, n. 35104/2025).

Sulla seconda, nessuno sembra voler ipotizzare risposte. E la ragione è molto semplice: ce la fornisce, ancora una volta, la storia. “Dopo la catastrofe”, il diritto dovrebbe rigenerarsi nella sua “coscienza” più umana, come scrisse Giuseppe Capograssi. “Dopo la catastrofe”, una democrazia dovrebbe diventare “normale” anche al suo esterno, come fu per il Sud Africa post-Apartheid. Però, “dopo la catastrofe”, è pur sempre necessaria una corale operazione costituente di “verità e giustizia”, basata sullo studio della storia, la reciproca conoscenza delle violenze perpetrate e subite, il rifiuto irreversibile della violenza e della guerra, il rispetto del diritto internazionale fondato sul sentimento umanitario, il coinvolgimento della società civile nella condivisione del primato della persona umana, la rinuncia ai primati escatologici in nome dell’umanitarismo universale ecc…

Sarà mai possibile? Su proposta di chi? Per volontà di chi? Lo potrà mai fare Israele, ormai riverso, dopo le Legge fondamentale del 2018 di proclamazione dello «Stato del popolo ebraico», in una conformazione interna di supremazia religiosa ed esterna di doppio regime (civile e militare) verso i palestinesi? Lo si potrà realizzare con un sistema ordinamentale ibrido come quello di Hamas, a metà strada fra Stato islamista e organizzazione terroristica? Potrà mai accadere con un’Autorità Palestinese privata del suo spazio operativo di funzionamento (a causa della pervasiva colonizzazione israeliana dei territori palestinesi occupati)?

Se due entità giuridiche (come Hamas e Israele) si ergono a totalità esistenziale di fondazione religiosa, la violenza politica finisce col prevalere sulle regole costituzionali; e a perdere è la umana ispirazione alla pace, paradossalmente letta, da ciascuna di quelle entità, come vocazione alla sconfitta. Lo si è potuto constatare il 12 settembre scorso, in occasione della presentazione della c.d. “Dichiarazione di New York” da parte di Francia e Arabia Saudita, votata a larghissima maggioranza dall’Assemblea generale dell’ONU al fine di riporre al centro del confronto il tema dei due Stati in Medioriente sotto l’egida dell’ONU, ma già morta sul nascere nel suo rifiuto da parte dei due contendenti.

In questo scenario, l’«effetto Lucifero» sembra destinato a perpetuarsi all’infinito, contaminando di sé anche il costituzionalismo delle democrazie alleate di Israele e il primato della persona umana nel diritto internazionale.

Bibliografia

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Bonhoeffer, Resistenza e resa, trad.it., Roma, 2015

Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, in Jus, 2, 1950, ripubblicato in Opere, vol. V, Milano, 1959

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P.G. Zimbardo, L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, trad. it., Milano, 2008

Autore

M. Carducci

Università del Salento

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