Il “Manifesto”

La necessaria discontinuità

Nel 1990 un gruppo di accademici, professori di diritto amministrativo e costituzionale provenienti da varie università italiane, pubblicò un volumetto per i tipi del Mulino, senza indicazione degli autori in copertina, con l’enigmatica intestazione “Quaderni San Martino”.

Quel libro era intitolato “La necessaria discontinuità. Immagini del diritto pubblico”. I Quaderni San Martino rimasero uno soltanto – quello in questione –, ma per i tanti studiosi che negli anni sono venuti a contatto con quell’arcipelago intellettuale che è il Gruppo San Martino la “Necessaria discontinuità” ha quasi acquisito lo status del “cult book”.

Quel titolo indicava evidentemente un “programma”: la necessità di adeguare la “cultura” del diritto pubblico alla “frattura” rappresentata dalla Costituzione repubblicana. Quel programma è alla base della nascita della rivista Diritto pubblico, fondata da Andrea Orsi Battaglini nel 1995, e dell’Associazione amici del diritto pubblico, “azionista” unica di quella rivista e di questo blog.

In uno dei saggi inclusi nella “Necessaria discontinuità” si citava Cechov per rappresentare il permanere di un «tono modesto e di composta educazione» caratteristico della qualità e della saggistica delle discipline giuridiche. Contro questo stile, «filologico-ecumenico», che rifugge le polemiche, il saggio sottolineava l’«imprescindibile necessità di far risaltare le contrapposizioni» (Dogliani, Le ragioni della discontinuità tra la cultura giuspubblicista pre e post costituzionale).

Nel raccogliere, ancora una volta, la sfida contenuta in quel programma, questo blog intende essere un luogo di discussione franca, plurale e aperta, ove il diritto pubblico e i suoi cultori non rifuggano le contrapposizioni, ma si confrontino a viso aperto con gli altri rami del sapere e la società nel suo complesso.

Dopo le crisi epocali che abbiamo vissuto (quella finanziaria e l’austerity, la pandemia) e nel pieno della crisi ecologica e di una guerra in Europa, ci sembra che le ragioni di una “necessaria discontinuità” siano più che mai attuali per continuare a riflettere, fuori da accademismi o dimensioni esclusivamente professionali, sull’esercizio del potere e il ruolo del diritto in una società democratica contemporanea.

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