Il fondamento giuridico del limite del doppio mandato dei Sindaci. E’ davvero una misura antidemocratica?

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di Claudia Tubertini

Il decreto-legge cd. “Election day” approvato dal Consiglio dei ministri il 25 gennaio 2024 è divenuto oggetto di un vivace dibattito per aver introdotto, insieme a disposizioni dedicate allo svolgimento delle prossime elezioni europee ed amministrative, anche importanti modifiche strutturali al sistema elettorale comunale. È stato infatti innalzato da due a tre mandati consecutivi il limite di permanenza in carica per i Sindaci dei Comuni tra i 5mila e i 15mila abitanti ed è stato eliminato ogni limite ai mandati consecutivi per tutti i Sindaci dei comuni con popolazione inferiore ai 5mila abitanti, pari attualmente al 69,92% del totale dei comuni italiani. I sostenitori di questa scelta fanno appello al principio democratico. In questo post si sosterrà, viceversa, che il principio democratico postula la necessità di un limite ai mandati dei sindaci.

La regola del doppio mandato, introdotta con la legge n. 81 del 1993 in collegamento con l’introduzione dell’elezione diretta dei Sindaci, già derogata a favore di un terzo mandato dapprima per i comuni fino a 3.000 abitanti (art. 1, c. 138 l. 56/2014) poi per i comuni fino a cinquemila abitanti (art. 3 l. 35/2022), è stata dunque mantenuta solo per un numero importante in termini demografici, ma numericamente esiguo, di comuni (730).

Sarebbe troppo semplicistico legare la scelta legislativa in questione alla circostanza che, da quanto risulta da dati riportati dalla stampa, poco meno della metà dei sindaci in carica sono attualmente al secondo mandato (47,2%); o al fatto che la stessa situazione è condivisa anche da sette Presidenti di Regione, evidentemente interessati, al pari dei Sindaci, all’eliminazione del limite dei due mandati attualmente dettato dalla l. 165/2004. Alla base della recente modifica vi sono senz’altro anche interessi e diritti meritevoli di tutela: quanto ai primi, basti pensare all’interesse alla continuità dell’azione amministrativa che, specie alla luce delle difficoltà incontrate nell’attuazione del PNRR, taglia trasversalmente i comuni di qualsiasi dimensione, o l’interesse ad avvalersi di amministratori già dotati dell’adeguata esperienza maturata sul campo. Quanto ai diritti, è il fondamento giuridico della nuova disciplina ad essere oggetto di differenti letture. Si sostiene che la riduzione, o addirittura l’eliminazione di vincoli alla ricandidatura ed alla rielezione servirebbe alla tutela del diritto di elettorato passivo ed attivo, fondamentali espressioni del principio democratico, in base al quale al cittadino elettore deve essere assicurato il diritto di giudicare i risultati conseguiti dall’eletto e, quindi, il potere di rieleggerlo. È seguendo questa argomentazione che il Presidente dell’ANCI, nel commentare il decreto appena approvato, ha dichiarato che con esso «si sana, almeno in parte, un gravissimo vulnus democratico», ed ha chiesto di «andare fino in fondo», estendendo il numero dei mandati anche per i sindaci dei Comuni sopra ai 15mila abitanti, ritenendo incomprensibile, e probabilmente anticostituzionale, la disparità di trattamento nei confronti dei comuni di maggiori dimensioni.

Ma davvero mantenere il limite del doppio mandato sarebbe illegittimo, rappresenterebbe un vulnus al principio democratico, tanto da renderne auspicabile addirittura l’abolizione totale? Oppure questo limite è, al contrario, esso stesso esplicazione del principio democratico?

Sul punto, è anzitutto da ricordare che la giurisprudenza amministrativa e quella ordinaria hanno sempre ritenuto infondati i dubbi di legittimità costituzionale avanzati nei confronti dell’originaria previsione dell’art. 51, co. 2, T.U.E.L, proprio con riferimento al principio democratico di cui all’art. 1, comma 2 Cost. Secondo la Corte di Cassazione, il limite di cui si discute ha carattere solo temporaneo e non comprime illegittimamente il diritto di elettorato passivo; esso, infatti, è garantito a tutti i cittadini, ma il suo esercizio, come sancisce l’art. 51 della Costituzione, si esplica “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Non solo: il limite del doppio mandato è stato considerato in passato dagli studiosi un importante contrappeso al modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e alla concentrazione del potere in una sola persona che ne deriva, con effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione. Secondo il Consiglio di Stato, in particolare, il necessario raggiungimento di tale equilibrio risulta «particolarmente pressante nei livelli di governo locale, data la prossimità tra l’eletto e la comunità, onde il rischio di una sorta di regime da parte del primo in caso di successione reiterata nelle funzioni di governo». Di recente la stessa  Corte Costituzionale, con la sentenza n. 60/2023, ha dichiarato l’incostituzionalità, per violazione dell’art. 3, lett. b), dello statuto speciale sardo e degli artt. 3 e 51 Cost., dell’art. 1 della legge regionale Sardegna n. 9/2022, che, in deroga alla legislazione nazionale, avevano portato il numero massimo dei mandati consecutivi dei Sindaci a quattro (20 anni!) nei comuni con popolazione sino a 3.000 abitanti e a tre nei comuni con popolazione sino a 5.000 abitanti. La Corte ha affermato che solo il legislatore nazionale può individuare il punto di equilibrio tra diritto di elettorato passivo ed elezione a suffragio universale e diretto del Sindaco. Evidentemente, la Corte ha ritenuto che la disciplina dettata a livello statale rappresentasse già un punto di equilibrio, aprendo alla possibilità di ulteriori ragionevoli e ponderate deroghe (specie per i comuni di piccola dimensione), ma non dubitando in alcun modo della compatibilità con il principio democratico della disciplina vigente a livello statale.

L’opportunità di porre un limite alla consecutività dei mandati in caso di elezione diretta deriva peraltro anche dagli orientamenti sovranazionali: la Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa, ha rinvenuto il fondamento della regola del limite ai mandati degli organi eletti a suffragio universale e diretto proprio nella tutela della democrazia, dello Stato di diritto e della Rule of law; ciò in quanto l’esistenza del limite contribuisce a rendere la transizione politica un’evenienza fisiologica e prevedibile negli affari politici, tenendo viva la speranza dei partiti di opposizione di conquistare legittimamente il potere. Anche dal punto di vista del diritto di voto attivo, la Commissione ha ritenuto giustificata la presenza di questa restrizione sul presupposto che essa, lungi dal limitare i diritti umani e politici degli elettori, finisce invece per tutelarli. 

In sintesi, emerge dalla giurisprudenza nazionale e dagli orientamenti sovranazionali una considerazione del limite al numero di mandati dei vertici degli esecutivi quale strumento a tutela della democrazia, e non contro di essa; uno strumento che – al di là delle possibili implicazioni sul sistema politico e sulla partecipazione civica – è certamente da maneggiare con cura, laddove una sua correzione non ben ponderata potrebbe alterare il meccanismo complessivo alla base del sistema elettorale prescelto, ancor più in un sistema, come quello comunale italiano, ad impronta spiccatamente personalistica, in cui al Sindaco eletto sono riconosciuti poteri di particolare rilievo.

In conclusione, se la scelta dell’eliminazione totale di qualsiasi limite per tutti i comuni fino a 5.000 abitanti può, con una certa forzatura, considerarsi una misura di necessità, legata alla difficoltà di trovare nuovi candidati preparati ed interessati alla carica, più difficile è giustificare un triplo mandato consecutivo per un’ampia parte dei comuni, ed ancor più sostenerne la necessità per i comuni di maggiore dimensione, dove, è evidente, è assai più facile reperire nuove idonee candidature. Di certo, un’eventuale eliminazione di qualsiasi limite alla rielezione consecutiva dei vertici degli esecutivi eletti direttamente, siano essi locali, regionali o statali, lungi dal rappresentare una conquista democratica, esporrebbe il nostro Paese al rischio di censure anche sul piano internazionale. La possibilità di essere rieletti senza alcun limite, mandato dopo mandato, non appare compatibile con il ragionevole equilibrio tra continuità amministrativa, aspettative degli eletti ed esigenze di ricambio della classe politica.

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