La riforma della pubblica amministrazione nel quadro del “Recovery Fund”

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di Stefano Civitarese Matteucci

Premessa

Il problema della “riforma” dell’amministrazione pubblica e del ruolo del diritto amministrativo non sono mai stati così presenti sui media come negli ultimi tempi. Non che si tratti di cosa nuova, poiché la questione della semplificazione amministrativa è ormai un punto fisso dell’agenda di tutti i governi almeno dalle riforme “Bassanini” dei tardi anni Novanta del secolo scorso.

Il motivo del riaccendersi del dibattito è che la riforma dell’amministrazione pubblica è inserita tra le “condizioni” prevista dal programma “Next Generation EU” (NGEU), che reca in dote per l’Italia circa 200 miliardi di investimenti.1

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi nel discorso programmatico sul voto di fiducia al Senato ha affermato che la «fragilità del sistema delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo è … una realtà che deve essere rapidamente affrontata».

È, pertanto, assunto condiviso che la questione dell’amministrazione sia al centro del processo di “rilancio e resilienza”, dal momento che sono le strutture pubbliche che dovranno gestirne ogni aspetto anche quando non le riguardi direttamente.

Next Generation EU

Una sintesi della genesi e dei contenuti del NGEU si può reperire qui. NGEU è un programma che si situa all’interno del bilancio a lungo termine dell’Unione. Come si legge sul sito della Commissione, esso dà luogo al più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato dall’UE: “Per ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19 verrà stanziato un totale di 1.800 miliardi di euro. L’obiettivo è un’Europa più ecologica, digitale e resiliente”.

Il Consiglio ha approvato il bilancio a lungo termine dell’UE per il periodo 2021-2027 il 17 dicembre 2020, dopo che il Parlamento europeo aveva approvato il regolamento sul quadro finanziario pluriennale il 16 dicembre.

Il Recovery Plan

Il “dispositivo” per la ripresa e resilienza – il piano di investimenti noto come Recovery Plan – si basa a sua volta su un accordo tra Parlamento europeo e Consiglio raggiunto il 18 dicembre 2020. Questo è il fulcro del NGEU e rende disponibili 672,5 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le “riforme e gli investimenti” effettuati dagli Stati membri.

Secondo quanto previsto nel Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, che formalmente istituisce il “dispositivo per la ripresa e la resilienza”, ciascun paese dovrà presentare il proprio Piano nazionale entro il 30 aprile 2021. In seguito, la Commissione dovrà valutare e approvare tali piani entro due mesi e il Consiglio, a sua volta, assumere la sua decisione definitiva entro un altro mese. I primi finanziamenti potranno quindi partire non prima di agosto 2021.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Lo schema di piano italiano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 gennaio 2021. Secondo quanto dichiarato dal Ministro Franco in una memoria alle Commissioni congiunte 5a, 6a e 14a del Senato della Repubblica V, VI e XIV Camera dei deputati, tale «schema costituisce la base di discussione per il confronto con le Istituzioni coinvolte, in primis il Parlamento, ai fini dell’adozione definitiva del Piano». Al Ministero dell’Economia, guidato dall’ex direttore generale della Banca d’Italia Daniele Franco, è affidata la regia del PNRR.

Entro questo quadro, non sempre nel dibattito che si è avviato risulta chiaro in cosa consistano le condizioni poste dall’Unione Europea riguardo alle riforme. Prima di formulare, quindi, alcuni quesiti sull’orientamento e gli esiti di tali riforme, vediamo di illustrare brevemente questo aspetto. In altre parole, cosa ci chiede l’Europa.

Le raccomandazioni all’Italia per il Semestre Europeo

Il quadro generale offerto dai documenti europei presenta, come probabilmente è normale che sia, ampi margini di vaghezza. Nella più recente guida della Commissione, il Commission Staff Working Document Guidance to Member States Recovery and Resilience Plans del 22 febbraio 2021, si ribadisce che secondo il regolamento 241/21 sopra citato il punto centrale è il collegamento tra i piani nazionali e le specifiche raccomandazioni contenute nei due ultimi cicli semestrali. Gli stati sono invitati a fornire una dettagliata illustrazione di come le misure proposte affrontino tutte o parte di tali raccomandazioni in modo da risolvere o contribuire significativamente a risolvere i problemi a esse sottesi e giustificando ogni ordine di priorità. In particolare, occorre spiegare perché tali priorità siano considerate più significative nel determinare una potenziale crescita economica in modo sostenibile e inclusivo e come il piano costituisca una risposta adeguata e comprensiva alla situazione sociale ed economica del paese.

Vediamo, quindi, quali sono le raccomandazioni indirizzate all’Italia. Queste sono distinte in quattro gruppi:

  • 1.           attuare, in linea con la clausola di salvaguardia generale, tutte le misure necessarie per affrontare efficacemente la pandemia e sostenere l’economia e la successiva ripresa; quando le condizioni economiche lo consentano, perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilità del debito, incrementando nel contempo gli investimentirafforzare la resilienza e la capacità del sistema sanitario per quanto riguarda gli operatori sanitari, i prodotti medici essenziali e le infrastrutture; migliorare il coordinamento tra autorità nazionali e regionali;
  • 2.           fornire redditi sostitutivi e un accesso al sistema di protezione sociale adeguati, in particolare per i lavoratori atipici; attenuare l’impatto della crisi sull’occupazione, anche mediante modalità di lavoro flessibili e sostegno attivo all’occupazione; rafforzare l’apprendimento a distanza e il miglioramento delle competenze, comprese quelle digitali;
  • 3.           garantire l’effettiva attuazione delle misure volte a fornire liquidità all’economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese, alle imprese innovative e ai lavoratori autonomi, ed evitare ritardi nei pagamenti; anticipare i progetti di investimento pubblici maturi e promuovere gli investimenti privati per favorire la ripresa economica; concentrare gli investimenti sulla transizione verde e digitale, in particolare su una produzione e un uso puliti ed efficienti dell’energia, su ricerca e innovazione, sul trasporto pubblico sostenibile, sulla gestione dei rifiuti e delle risorse idriche e su un’infrastruttura digitale rafforzata per garantire la fornitura di servizi essenziali; 
  • 4.           migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione.

Per meglio comprendere queste raccomandazioni occorre guardare alla parte motiva del documento del Consiglio sul Semestre Europeo del 20 maggio 2020.

Quanto al sistema sanitario, pur registrando la specializzazione e buona qualità media dei servizi offerti, si rimarca il problema della frammentazione della “governance” e dell’assenza di coordinamento tra autorità centrali e regionali nella risposta alla pandemia. Secondo la Commissione, oltre a migliorare i processi di governance e i piani di preparazione alle crisi, le politiche post Covid-19 dovrebbero puntare a colmare la carenza di investimenti pubblici nell’assistenza sanitaria. A fronte delle attuali proiezioni relative alla forza lavoro nel settore sanitario, dovrebbe essere data priorità all’elaborazione di politiche volte a rimuovere gli impedimenti alla formazione, all’assunzione e al mantenimento in servizio del personale sanitario.

Un secondo aspetto riguarda l’impatto della pandemia sul lavoro e le condizioni sociali, che ha esacerbato una situazione di elevato rischio di povertà o esclusione sociale, povertà lavorativa e disparità di reddito con notevoli differenze regionali. Pertanto, secondo la Commissione, gli ammortizzatori sociali dovrebbero essere rafforzati per garantire redditi sostitutivi adeguatiindipendentemente dallo status occupazionale dei lavoratori, in particolare di coloro che si trovano di fronte a carenze nell’accesso alla protezione sociale. Il rafforzamento del sostegno al reddito e del reddito sostitutivo viene ritenuto particolarmente pertinente per i lavoratori atipici e per le persone in situazioni di vulnerabilità. Così come si ritiene fondamentale la prestazione di servizi per l’inclusione sociale e nel mercato del lavoro. Si suggerisce inoltre di migliorare la diffusione del reddito di cittadinanza tra i gruppi vulnerabili e di affrontare il problema delle persone impiegate nell’economia sommersa, in particolare in settori come l’agricoltura, il settore alimentare e l’edilizia abitativa, 

In prospettiva la Commissione ritiene cruciale, per una ripresa sostenibile e inclusiva, l’integrazione nel mercato del lavoro delle donne e dei giovani inattivi. In proposito nel documento si menzionano le recenti misure volte a rafforzare i servizi pubblici per l’impiego e a integrarli meglio con i servizi sociali, l’apprendimento degli adulti e la formazione professionale, ma se ne dà un giudizio sostanzialmente negativo. In particolare, le misure volte a promuovere le pari opportunità e le politiche in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata, così come l’offerta a costi accessibili di servizi di educazione e cura della prima infanzia e servizi di assistenza a lungo termine, rimangono modeste e scarsamente integrate.

Un ulteriore aspetto critico riguarda le competenze digitali, in particolare degli adulti in età lavorativa, e l’apprendimento a distanza. In generale tutto il settore dell’istruzione viene considerato in grave ritardo. I dati, del resto, parlano da sé. A parte il solito problema degli squilibri regionali, il tasso di abbandono scolastico è ben al di sopra della media dell’Unione (13,5 % contro 10,3 % nel 2019), in particolare per gli studenti che non sono nati nell’Unione (33 %). Anche il tasso di istruzione terziaria rimane molto basso (27,6 % nel 2019). Nel documento si ritiene “preoccupante”, inoltre, il basso tasso di partecipazione degli adulti scarsamente qualificati alla formazione, data la diminuzione dei posti di lavoro che richiedono basse qualifiche.

Si raccomanda, inoltre, di rafforzare l’accesso ai finanziamenti per le imprese. Ai fini della ripresa si insiste comunque sulla necessità di investire nella digitalizzazione dell’economia nelle infrastrutture digitali. Nel documento si legge che «i bassi livelli di intensità digitale e di conoscenze digitali delle imprese in Italia, in particolare delle PMI e delle microimprese, hanno impedito alle stesse di offrire servizi di commercio elettronico, ricorrere al telelavoro e fornire e utilizzare strumenti digitali durante il confinamento».

Infine, vi è il “capitolo” sull’amministrazione pubblica. L’accento è posto sull’efficacia. Le tre politiche menzionate, a titolo esemplificativo, nelle quali inciderebbe negativamente l’inefficacia amministrativa sono l’erogazione delle prestazioni sociali, le misure a sostegno della liquidità, l’anticipazione degli investimenti. Tra le carenze individuate figurano la lunghezza delle procedure, tra cui quelle della giustizia civile, il basso livello di digitalizzazione e la scarsa capacità amministrativa. Si sottolinea come procedure e controlli debbano essere attuati rapidamente, in un contesto in cui vengono significativamente incrementate le risorse pubbliche a sostegno dell’attività economica. Anche in questo caso l’enfasi è soprattutto sul tema della digitalizzazione. Si sottolineano la modesta interazione online tra le autorità e la popolazione, la bassa percentuale di procedure amministrative gestite dalle regioni e dai comuni che possono essere avviate e portate a termine interamente in modo elettronico, la mancanza di interoperabilità dei servizi pubblici digitali.

Con riferimento alle esigenze delle imprese si fa riferimento al miglioramento e semplificazione delle normative settoriali e alla rimozione degli ostacoli alla concorrenza.

Vi è, da ultimo, un generico riferimento all’importanza della prevenzione e repressione della corruzione nel settore pubblico.

Il Programma Nazionale di Riforme

Tornando alle linee guida del 22 febbraio 2021, valevoli per tutti gli Stati membri, la Commissione precisa che il piano di “ripresa e resilienza” deve essere presentato come singolo documento in cui sia integrato il Programma Nazionale di Riforme. Il piano, in sostanza, è un insieme di riforme e investimenti raggruppati in componenti tra loro coerenti. Una componente, a sua volta, è un elemento costitutivo del piano. Ogni componente deve riflettere riforme e investimenti prioritari in una certa area di policy o in settori, attività e temi connessi, miranti ad affrontare obiettivi specifici e in modo da formare un pacchetto coerente di misure complementari e a supporto le une delle altre. Particolare attenzione deve essere prestata alla qualità della pubblica amministrazione, visto il ruolo chiave che questa giocherà nell’attuazione delle riforme e degli investimenti in tutte le aree di intervento.

Che cosa è, dunque, una riforma nell’ambito del piano? Viene definita tale un’azione o un processo di cambiamento e miglioramento con un impatto significativo e durevole sul funzionamento di un mercato, di una politica, di strutture o istituzioni amministrative. Una “riforma” è anche un avanzamento rispetto a rilevanti obiettivi di policy, quali crescita, lavoro, resilienza e “transizione gemella” (vale a dire la transizione verde e quella digitale).

Esempi di riforme che abbiano un impatto positivo su tali obiettivi vengono individuati in pensioni, mercato del lavoro, educazione e formazione professionale, politiche attive del lavoro e servizi pubblici all’impiegoefficacia dell’amministrazione, nonché in riforme per migliorare il contesto operativo delle imprese attraverso la semplificazione dei requisiti e degli adempimenti. Altre riforme vengono definite “organiche” e riferite ai settori verdi e digitali.

Uno sguardo d’insieme al meccanismo posto in essere consente di notare che la riforma della pubblica amministrazione è trattata sia come obiettivo in sé sia come strumento per perseguire politiche di scopo (sanità, reddito di cittadinanza, servizi all’impiego, pagamenti alle imprese). Il che sembra suggerire che questi due punti di vista debbano essere considerati congiuntamente. Paradossalmente questo sguardo comprensivo esige differenziazione di analisi e ricette. In altre parole, l’amministrazione che deve pagare tempestivamente le imprese o rilasciare rapidamente le autorizzazioni che limitano le attività economiche probabilmente non è la stessa che deve assicurare servizi socio-assistenziali a misura di persona o aiutare i giovani a trovare il primo impiego. E non è certamente la stessa che abbia il compito di attuare, per esempio, la decisione di investire su una nuova tecnologia farmaceutica finanziandone la ricerca e poi definendo le regole del mercato per la produzione, distribuzione e somministrazione del risultato di quella ricerca (Pioggia).

Come, cosa, quando riformare? Chi decide?

L’impressione che si trae dal quadro esposto è che non si vada più in là dell’enunciazione di temi e argomenti e di alcuni obiettivi molto generali, per di più tra loro apparentemente eterogenei. È, quindi, plausibile pensare che la partita del “programma nazionale di riforme” si giocherà attraverso una sorta di serrata negoziazione tra istituzioni europee e governi nazionali. Se la Commissione sembra avere, infatti, ampi margini discrezionali nella fase di valutazione, la parola finale spetta pur sempre al Consiglio e quindi al momento intergovernativo.

Con riferimento alla pubblica amministrazione, l’obiettivo è l’efficacia. Come raggiungerlo, a parte la generica menzione della semplificazione delle regole e della digitalizzazione, è tutto da stabilire. Il dibattito riaccesosi in Italia non a caso mostra una notevole varietà di approcci e soluzioni.

Una prima questione è se occorra una grande riforma (strutturale) o sia meglio limitarsi a intervenire chirurgicamente in funzione delle esigenze di attuazione del PNRR, in pratica della capacità di spendere il fiume di denaro in arrivo. Chi pone l’accento sulla seconda alternativa si concentra sul regime degli appalti pubblici, sui controlli preventivi da sfoltire, sull’autorità di gestione del PNRR.

Nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato tra il Presidente del Consiglio, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta e i sindacati confederali il 10 marzo 2021, si legge che non «non servono tanto nuove leggi, quanto la capacità di adattarsi a scenari estremamente mutevoli con flessibilità. Una flessibilità che riguarda tre variabili: lavoro (gestione delle risorse umane), organizzazione e tecnologia. Tutto ciò è possibile valorizzando le lavoratrici e i lavoratori della Pubblica Amministrazione». Il Patto individua la chiave di volta per il rilancio della Pubblica Amministrazione come “motore di sviluppo” nella contrattazione collettiva e integrativa (decentrata) come strumenti di valorizzazione, riqualificazione, aggiornamento, riorganizzazione, etc. del personale. In questo caso, quindi, si guarda all’insieme, non solo all’immediato, ma lo strumento non è quello della grande riforma per via legislativa. Ciò non toglie che il Patto possa essere considerato a buon diritto “un’azione o un processo di cambiamento e miglioramento” ai fini del Recovery Plan.

Un ulteriore approccio è quello di chi (Merloni e al.), in linea con gli obiettivi strategici contenuti nel Recovery Plan, ritiene necessario impiegare parte dei fondi per progetti di rafforzamento organizzativo delle amministrazioni pubbliche. Anche in questo caso l’obiettivo non è quello delle grandi riforme legislative, pur indicando alcuni necessari interventi sulla legislazione. Anzi, il punto di partenza è proprio la critica alle riforme amministrative come confinate alla semplificazione/riduzione normativa e delle procedure. 

Il quadro delle proposte e i diversi livelli del dibattito non possono essere ulteriormente riassunti in questa sede. Mi limito a richiamare la recente “invettiva” di Vincenzo Visco contro i “cultori del diritto amministrativo”. Secondo questa prospettiva, che muove dalla necessità di estirpare in radice la cultura “uniformante” del diritto amministrativo, la «pubblica amministrazione italiana andrebbe ricostruita dalle fondamenta. Qualsiasi attività amministrativa per funzionare dovrebbe disporre di gradi rilevanti di autonomia nella organizzazione interna, nella gestione del personale, nelle procedure da seguire …».

Non è detto che tale “programma” sia da intendere nell’ottica del motto, il mantra dell’ultimo trentennio, “meno amministrazione” più libertà e mercato. Lo si può anche intendere in questo senso naturalmente, che è quello delle tante leggi di liberalizzazione, aziendalizzazione, privatizzazione, etc. Lo si potrebbe intendere, invece, come responsabilizzazione dell’amministrazione al servizio della società. Una questione interessante al riguardo è quale modello di amministrazione – se uno – emerge dal pacchetto NGEU e dalle “raccomandazioni”. Non sembra che il linguaggio, la cifra culturale complessiva, sia ancora quella del New Public Management.

Sembra esservi spazio per ragionare, invece, attorno all’idea che l’azione di governo, la decisione delle politiche, e il suo aspetto operativo, l’amministrazione, siano creatori di valore e non semplicemente attori che intervengono per “guarire” i fallimenti del mercato. Questa è l’ottica indicata da Mariana Mazzucato nella sua idea dell’amministrazione per missioni, rifinita nel tempo a partire dalla demolizione del mito che solo “il privato” crea innovazione e valore.

Le condizioni/riforme/componenti del PNRR riguardano, del resto, obiettivi per i quali il funzionamento dell’amministrazione (e quindi la sua riforma) sono funzionali a politiche sociali e ambientali specificamente raccomandate. Si pensi alle “raccomandazioni” sopra riferite sul rafforzamento del sostegno al reddito e del reddito sostitutivo o alla prestazione di servizi per l’inclusione sociale e nel mercato del lavoro.

Tutto questo, in conclusione, riconduce alla domanda sul tipo di “condizionalità” posta dal Recovery Fund. In altri termini, se il riferimento nel dibattito a questo termine – che richiama la diversa stagione della risposta alla crisi finanziaria del 2008 e all’austerity come condizione agli aiuti– sia oggi appropriato. Fermo restando, al riguardo, il problema dei margini ampi di discrezionalità/negoziazione che potrebbero determinare “condizionamenti” non scritti. Una interpretazione maliziosa potrebbe anche portare a ritenere che la vaghezza del quadro normativo celi proprio la volontà delle istituzioni europee di dettare le regole in corsa in modo più libero da vincoli predeterminati.

1 Questo articolo rappresenta una ideale introduzione all’incontro-dibattito su La riforma della Pubblica Amministrazione nel prisma del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che si svolgerà il 14 aprile 2021 alle 16.

Autore

S. Civitarese Matteucci

Università degli Studi "G. d'Annunzio" di Chieti-Pescara

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