Il garbuglio delle norme sul reclutamento universitario

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di Giulio Vesperini

Risposte complicate

È molto complicato ricomporre i tanti frammenti dei quali è composta la disciplina del reclutamento universitario in Italia. Innanzitutto, le regole nazionali di base in materia contengono una tale quantità di vincoli, eccezioni, deroghe, da rendere ardua l’identificazione di punti di riferimento stabili. A questo si aggiunge la complessità della struttura della regolamentazione: la normativa primaria, per un verso, specie per i profili finanziari, rinvia a programmi pluriennali dell’amministrazione centrale ai quali si devono attenere, a loro volta, le singole università; per un altro verso, detta principi da svilupparsi con i regolamenti di autonomia di ciascuna delle 97 università italiane.

Nella sua applicazione, inoltre, la disciplina di base ha subito una serie di torsioni. La principale di esse consegue alla politica di riduzione drastica, per il decennio successivo alla seconda metà degli anni ‘0, delle risorse finanziarie destinate al reclutamento, ulteriormente accentuata da un criterio di calcolo delle quote spendibili, basato sulla conversione del valore monetario in punti organico-p.o.  Ne sono conseguiti, da un lato, una capacità di assorbimento limitata e lenta di nuovi studiosi da parte del sistema universitario; dall’altro, un netto squilibrio a favore degli avanzamenti “interni”, di coloro, cioè, già nei ruoli della università che intende reclutare, a scapito delle procedure aperte.

La disciplina di base del reclutamento

Le regole di base sul reclutamento dei professori ordinari e associati sono dettate dall’art. 18, l. n.240/2010.

Le procedure di chiamata si svolgono in sede locale, ma, come noto, può parteciparvi solo chi abbia conseguito previamente l’abilitazione scientifica nazionale-ASN, in esito a un procedimento oggetto, a sua volta, di una complessa regolamentazione.

Come si è detto, la legge pone principi e vincoli, ma demanda poi la disciplina puntuale delle chiamate ai regolamenti delle singole università.

I vincoli e i principi per i regolamenti di autonomia.

Innanzitutto, i regolamenti universitari devono rispettare i principi posti dalla Carta Europea dei ricercatori (2005); quelli fissati dalla legge stessa su alcuni aspetti del procedimento di reclutamento; quelli stabiliti dai codici etici delle rispettive università.

Seguono i vincoli di ordine finanziario: per esempio, ciascun ateneo può avviare i procedimenti di chiamata solo nei limiti della rispettiva disponibilità di bilancio.

Altre norme (art. 4, d.lgs. n. 49/2012) disciplinano la “consistenza quantitativa” delle singole componenti del personale docente di una università, per assicurare l’equilibrio tra il “consolidamento” e la “sostenibilità” dell’organico dei professori di ruolo, da un lato, e l’accesso di giovani studiosi all’università, dall’altro.

Nell’esercizio della rispettiva autonomia, per perseguire questi scopi, le università devono adottare piani triennali per la programmazione del reclutamento del personale docente e ricercatore. I piani devono tenere conto dell’effettivo “fabbisogno di personale”; assicurare la sostenibilità della spesa di personale e gli equilibri di bilancio; attenersi agli indirizzi aggiornati ogni triennio con d.P.C.M. Per il triennio 2021-2023, il d.P.c.m. 24 giugno 2021 ha dettato misure per garantire un rapporto tendenzialmente paritario tra professori di prima e seconda fascia; un numero di RTDB non inferiore a quello dei professori di prima fascia; una quota di RTDA non inferiore del 10% dei professori di ruolo.

Informazioni sulla consistenza quantitativa delle singole componenti del personale docente si trovano nel Rapporto biennale dell’ANVUR sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca 2018” (relativamente al periodo 2008-2017) e nel FocusIl personale docente e non docente nel sistema universitario italiano – a.a 2021/2022” del servizio statistico del MUR (settembre 2022).  L’insieme di questi dati mostra che, nel quindicennio considerato (2008-2022), dopo una fase di contrazione, negli ultimi anni tornano ad aumentare le dimensioni del personale docente delle università. Ma questo avviene nel quadro di un mutamento significativo dei rapporti quantitativi tra i diversi livelli della piramide: c’è una forte riduzione, in termini assoluti e percentuali, dei professori di ruolo (in particolare, di quelli di prima fascia) e un aumento, di oltre due volte e mezzo, del numero dei ricercatori a tempo determinato.

Resta aperto, tuttavia, il problema delle ragioni di queste trasformazioni. Per semplificare: in quale misura, esse possono considerarsi il segnale del successo delle misure prese? quanto, invece, hanno pesato le condizioni finanziarie nelle quali versa il sistema universitario?

Le misure a favore della mobilità interuniversitaria

L’interesse alla c.d. mobilità interuniversitaria fonda altri limiti alla disciplina di base. L’art.18, c.4, l. n.240/2010, infatti, stabilisce che ciascuna università riservi almeno il 20% dei posti disponibili per professore di ruolo alla chiamata di quanti non abbiano prestato servizio nell’università stessa nell’ultimo triennio. Lo stesso interesse fonda, poi, le previsioni dell’art. 7, l. n.240/2010, recanti incentivi finanziari (di vario tipo) per promuovere la “mobilità interuniversitaria” di professori e ricercatori. Non risultano disponibili, però, informazioni sull’applicazione di queste norme.

Le altre procedure per il reclutamento. Da RTD a professore di seconda fascia.

Alla procedura ordinaria si affiancano altre quattro procedure, derogatorie in vario modo rispetto alla prima.

Una riguarda il conseguimento della seconda fascia ed è riservata a coloro con i quali l’università abbia stipulato un contratto di RTD, di durata massima di sei anni, per svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti. A partire dalla conclusione del terzo anno del contratto (e fino alla sua scadenza), infatti, l’interessato, in possesso dell’ASN, e che abbia fatto apposita istanza, può essere sottoposto a valutazione dall’università per la chiamata nei ruoli dei professori di seconda fascia.

L’art. 24, c. 6 della l. 240/2010, peraltro, completa la disciplina sulla “consistenza quantitativa”, trattata sopra: a decorrere dall’undicesimo anno successivo all’entrata in vigore della legge (e quindi dal 31 dicembre 2022), l’università “può utilizzare le risorse corrispondenti fino alla metà dei posti disponibili di professore di ruolo” per le chiamate a professore di seconda fascia degli RTD, aventi i requisiti previsti dalla norma.

La progressione di carriera “interna”

Lo stesso art. 24, c. 6, poi, prevede una altra procedura speciale per il reclutamento di professori universitari. Questa è riservata a quanti, già docenti di ruolo nella università procedente, abbiano conseguito l’ASN e aspirino a passare nella fascia superiore. Con evidenza, la norma intende limitare il ricorso alla procedura concorsuale aperta per garantire un percorso preferenziale agli “interni”. Nella sua formulazione originaria, la norma avrebbe dovuto avere un’applicazione limitata a 6 anni. Tuttavia, nel corso degli anni, la sua durata è stata prorogata tre volte e, nella formulazione attuale, il termine finale è di 14 anni (31 dicembre 2025).

Lo stesso comma introduce un temperamento alla deroga e stabilisce che, con questa procedura, l’università può “utilizzare fino alla metà delle risorse equivalenti a quelle necessarie per coprire i posti disponibili di professore di ruolo”. In altri termini, per le procedure riservate agli “interni”, l’università ha a disposizione il 50% dei p.o., liberatisi per il cd turn-over.

Non ci sono dati aggiornati sull’effettività della norma, ma un indizio negativo si ricava dal citato Rapporto dell’ANVUR: infatti, tra il 2008 e il 2017, le chiamate “dall’esterno” hanno rappresentato solo il 4.4% di quelle da ordinario e il 14,2% di quelle da associato; tutte le altre chiamate, invece, sono conseguite a passaggi di ruolo.

Le “chiamate dirette” e quelle per “chiara fama”.

L’art. 1, c.9, l. n.230/2005 disciplina altre due procedure speciali di chiamata: quelle “dirette” e quelle “per chiara fama”.

La chiamata diretta per la copertura di posti di professore  e di ricercatore (a tempo indeterminato) è riservata a studiosi stabilmente impegnati all’estero o presso istituti universitari o di ricerca esteri, anche se ubicati nel territorio italiano, in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario; che ricoprono da almeno un triennio, presso istituzioni universitarie o di ricerca estere, una posizione accademica equipollente sulla base di tabelle di corrispondenza definite e aggiornate dal ministro dell’università. O a coloro che, in esito ad apposite procedure competitive, abbiano vinto specifici programmi di ricerca di alta qualificazione; finanziati da amministrazioni centrali dello Stato o dall’Unione.

La chiamata di “chiara fama” per la copertura dei posti di professore ordinario è riservata agli studiosi in possesso di almeno uno dei tre requisiti indicati dal d.m. 15 luglio 1997 e non richiede una procedura comparativa. All’opposto, l’università interessata chiede al ministro dell’università il nulla osta alla proposta di nomina; prima di decidere, il ministro deve acquisire il parere della commissione ASN per il settore in questione, circa il possesso nello studioso, dei requisiti per il riconoscimento della chiara fama e la coerenza del suo curriculum con il settore medesimo. Pertanto, da un lato, l’assunzione avviene senza una procedura comparativa, in deroga all’art.97 Cost.; dall’altro lato, l’abilitazione non ne è condizione necessaria.

Per l’applicazione della norma, sono interessanti le risultanze del documento del CUN (14 dicembre 2021) su “analisi e proposte sulle chiamate dirette nel sistema universitario italiano” per il periodo 2015- 2020: “in un periodo di limitazioni delle assunzioni”, per le ragioni già ricordate, “la chiamata diretta ha rappresentato uno strumento alternativo per il reclutamento”. Il ricorso alla chiamata diretta “è diventato sempre più frequente negli ultimi anni, soprattutto per effetto del significativo aumento degli incentivi finanziari previsti all’interno del [FFO] delle Università”. Esse sono state 766, con un andamento crescente nel corso del tempo; hanno riguardato soprattutto i professori associati; ma non si hanno indagini circa il loro peso percentuale rispetto alle altre chiamate.

Conclusioni

Da quanto detto si possono trarre tre rapide conclusioni.

Innanzitutto, trova conferma l’affermazione iniziale circa le difficoltà di districare il garbuglio delle attuali regole sul reclutamento universitario. Esse raggruppano norme di base e un complesso variegato di vincoli, deroghe ed eccezioni. Si possono ricostruire puntualmente i diversi interessi curati; i temperamenti operati tra l’uno e l’altro dalla singola norma. Ma è difficile scorgere un disegno unitario, anche in ragione della accentuata instabilità del quadro normativo; talvolta, poi, la disciplina del contemperamento tra interessi è lacunosa, con la conseguenza di ampliare la discrezionalità dell’amministrazione che provvede alla distribuzione di risorse. Un rimedio potrebbe essere quello di raccogliere le norme sul reclutamento universitario in un testo unico: il proposito, ormai trentennale, di unificare l’intera disciplina universitaria è fallito; ci si potrebbe limitare, allora, in prima battuta, a unificare quella parte di essa riguardante il reclutamento.

In secondo luogo, l’applicazione di queste norme, per un verso, è condizionata dalla variante finanziaria; per un altro verso, ha formato oggetto di una serie di indagini ben fatte, ma circoscritte quanto al periodo esaminato. Quanto al primo aspetto, è sufficiente rinviare alle tante proposte presentate nel dibattito pubblico in materia. Quanto al secondo, la funzione conoscitiva, dispersa attualmente tra una pluralità di organismi pubblici e privati operanti in materia di università, meriterebbe di essere organizzata: meno rileva “chi” indaghi “cosa”; più, invece, che il complesso delle indagini effettuate copra gli aspetti più rilevanti della materia del reclutamento; le indagini medesime siano aggiornate periodicamente, messe a disposizione del pubblico, e che dei loro esiti il decisore pubblico debba tenere conto.

Ancora, dopo il 2010, il reclutamento nell’università è avvenuto molto poco tramite procedure selettive vere e proprie; per converso, c’è stato un elevato numero di chiamate dirette, mentre le reiterate proroghe del termine di vigenza della norma relativa ha determinato una forte estensione dei passaggi “interni”. Perché si estenda il principio costituzionale del merito riprenda quota, è necessario invertire la rotta. Questo, per esempio, comporta restituire effettività al concorso aperto quale mezzo ordinario di accesso all’università; abolire, con effetto immediato, il meccanismo dei passaggi interni; circoscrivere il ricorso alla chiamata diretta; rivedere la disciplina del punto organico, ecc.

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