Le molte luci e le (poche, ma importanti) ombre della sentenza 192/2024 sulla determinazione dei LEP
di Claudia Tubertini
Università di Bologna
La Corte costituzionale ha confermato che la determinazione dei LEP, con fonti di rango primario, è condizione preliminare al riconoscimento dell’autonomia regionale differenziata. Viene mantenuta, però, la distinzione tra materie “LEP” e “non LEP” introdotta dalla Legge Calderoli: su questo secondo gruppo di materie, la verifica dell’eventuale incidenza sulla garanzia di prestazioni essenziali sembra spostarsi sulle intese. Un compromesso per non vanificare le trattative in corso?
La riserva di legge in materia di LEP
Tra i numerosi motivi di attesa della pronuncia della Corte sulla Legge Calderoli, quello relativo all’interpretazione delle norme in materia di “LEP” era senz’altro uno dei principali: che la garanzia dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, comma 2, lett. m) Cost.) fosse da considerarsi un limite implicito al riconoscimento della autonomia differenziata alle Regioni a statuto ordinario, era ormai affermazione consolidata nel dibattito scientifico. E’ stata la dottrina, in effetti, ad aver per prima ritenuto che, anche in mancanza di una espressa previsione da parte dell’art. 116 della Costituzione, la differenziazione sarebbe potuta avvenire solo a condizione di non incidere sulla garanzia dei LEP, pena la violazione dei fondamentali principi di unitarietà (art. 1), solidarietà (art. 2) ed uguaglianza (art. 3), veri e propri principi-guida del nostro modello di Stato regionale cooperativo; sempre la dottrina aveva più volte evidenziato, di conseguenza, l’assoluta esigenza di colmare i molti vuoti della legislazione in materia di LEP, prima di poter avviare – specie se a largo raggio – l’attuazione della clausola di cui al terzo comma dell’art. 116. Questa istanza era stata accolta nella prima proposta di legge “quadro” di attuazione dell’art. 116, comma 3 presentata nel 2021, al termine di un lungo iter che aveva coinvolto anche il sistema delle Conferenze, dall’allora Ministro Boccia. Tale consapevolezza non si è, però, se non in minima parte, tradotta in atto nella legislazione degli anni seguenti, tanto che alle soglie dell’approvazione della legge n. 86/2024, il nuovo Governo ha ritenuto necessario – per “sbloccare” il processo di differenziazione – adottare una procedura straordinaria ed accelerata, incaricando una Commissione tecnica (la famosa “CLEP”) del compito di estrapolare dal quadro normativo vigente le norme poste a garanzia di LEP, e, soprattutto, di formulare proposte per la sua integrazione, al fine di potervi poi procedere con atti non legislativi (commi da 791 a 801-bis, art. 1 l. 197/2022). L’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni è, tuttavia, un’operazione ad alto tasso di discrezionalità: è una scelta politica, infatti, quella di definire quali prestazioni siano essenziali, trattandosi di assicurarne poi l’effettivo godimento e, di conseguenza, la copertura finanziaria. Nell’esercizio di tale scelta politica, naturalmente, il legislatore ha dei punti di riferimento nella Costituzione, improntata all’incremento del benessere della società, all’eguaglianza sostanziale, alla tutela rafforzata di una serie di diritti, e così via; indicazioni che – tra l’altro – consentono alla Corte di ribadire che scopo dei LEP è di assicurare, ove possibile, uno standard di tutela superiore al nucleo minimo del diritto (punto 14). Per questo motivo, si tratta di una valutazione che non può essere affidata al solo Governo. L’individuazione delle prestazioni essenziali rappresenta una componente ineliminabile della disciplina di ciascun diritto (civile o sociale), in quanto contribuisce a definirne il contenuto effettivo: la loro determinazione non può quindi che ricadere nello stesso regime delle fonti che la Costituzione ha previsto per il diritto a cui si riferiscono. E implica importanti considerazioni di ordine finanziario, poiché importa il dovere dello Stato di garantirne il finanziamento. È certamente positivo, pertanto, che la Corte abbia confermato che i LEP vanno disciplinati con fonte di rango legislativo: il che non esclude la possibilità di una delega legislativa, ma corredata di principi e criteri direttivi chiari, e soprattutto distinti da materia a materia, non essendo possibile una loro definizione omnicomprensiva e generalizzata, valevole per qualsiasi settore. Come aveva già evidenziato la più attenta dottrina, la lettera m) dell’art. 117, comma 2 contiene una riserva implicita di legge, perché una prima forma di garanzia dei diritti si ha proprio con il loro inserimento nella sede legislativa, nella quale si manifesta più direttamente il gioco delle rappresentanze degli interessi generali. Bene ha fatto, quindi, la Corte a ritenere, da un lato, del tutto insufficienti, quali criteri e principi direttivi, le generiche finalità indicate dal comma 791 della legge 197 del 2022, richiamato per relationem dall’art. 3, comma 1 della legge Calderoli, dall’altro, illegittima l’anomala procedura di determinazione dei LEP con DPCM, mantenuta in vita dalla citata legge, in concorrenza con la procedura per via di delega legislativa.
Lo spazio delle fonti secondarie
Riserva di legge non significa, naturalmente, integrale disciplina riservata a fonte primaria. Nella definizione dell’intensità della riserva di legge in materia di LEP, la dottrina ha da tempo rilevato la necessità di ricercare il giusto equilibrio tra flessibilità e garanzia, evitando, da un lato, una disciplina legislativa così dettagliata da risultare di difficile modificazione, dall’altro, un eccessivo ricorso a fonti secondarie o paranormative, tali da svilire la portata della riserva di legge; e la Corte Costituzionale ha richiesto che sia la legge a delineare «adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni e articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori» (sentenza 88/2003, a proposito della determinazione degli standard delle prestazioni sanitarie). Così è avvenuto, in effetti, in materia di LEA (Livelli essenziali di assistenza sanitaria): i principi dettati dalla legge; la declinazione con fonte secondaria (DPCM, ma subordinata alla previa intesa in Conferenza Stato-Regioni), con possibile aggiornamento (qualora non implicante aumento di spesa) addirittura con fonte terziaria (Decreto Ministeriale). Non era questo, tuttavia, il caso delle previsioni dettate dall’art. 3, comma 7 della legge Calderoli, che prevedevano la possibilità di intervenire a modificare i futuri decreti legislativi di determinazione dei LEP con un atto sostanzialmente regolamentare (DPCM), affidando al Presidente del Consiglio una – del tutto anomala – delega alla modificazione di una fonte primaria.
Determinazione dei LEP e leale collaborazione
L’annullamento della citata previsione per contraddittorietà rispetto al meccanismo della delega legislativa previsto al comma 1 e della stessa delega, per insufficienza dei principi e criteri direttivi, ha comportato, invece, l’assorbimento delle questioni relative alla lesione del principio di leale collaborazione, che le Regioni avevano invocato sia per i decreti legislativi di cui al comma 2, che per i DPCM del comma 7. Si è trattato di una occasione mancata per chiarire definitivamente quale livello di coinvolgimento delle autonomie sia necessario, considerata la forte incidenza che la materia “LEP” può avere – e generalmente ha sempre – su materie di competenza regionale. Quel che è certo è che, quanto ai LEA, l’indirizzo della Corte è assestato sulla necessità della previa intesa (addirittura “forte”, in questo caso); mentre qualche oscillazione (a favore di un più modesto “parere”) si è registrata in altri settori, come l’istruzione. Soprattutto, è sull’adozione di decreti legislativi comportanti una forte interferenza in materie di competenza regionale che la Corte, dopo aver sancito, con la sentenza n. 251/2016, l’obbligo della previa intesa, ha più volte mostrato qualche tentennamento. La determinazione dei LEP è senz’altro una questione che coinvolge l’intero sistema delle autonomie: una loro adeguata partecipazione è ineludibile, sia per impegnarle nella loro attuazione, sia per far poi valere la loro responsabilità, in caso di inadempimento. Tale partecipazione risulta ancor più necessaria, peraltro, vista la lettura restrittiva data dalla Corte all’esigenza di partecipazione del sistema delle Conferenze alla procedura “a valle”, ovvero, quella di riconoscimento dell’autonomia differenziata, ove il principio di leale collaborazione viene declinato in senso solo bilaterale.
La distinzione tra “materie” LEP e “non LEP”
Ma a quali materie si riferisce la determinazione dei LEP? Secondo il consolidato indirizzo della Corte costituzionale, a tutte le materie in cui entri in gioco l’esigenza di tutelare un diritto civile o sociale. È la stessa trasversalità della materia, in sostanza, a non renderla suscettibile di essere racchiusa entro un ambito materiale separato. Ci si sarebbe, di conseguenza, aspettato che la Corte accogliesse le censure di arbitrarietà sollevate contro la distinzione, operata dall’art. 3, comma 3, tra materie “LEP” – per le quali si prevede il necessario avvio del percorso di individuazione, quale condizione per l’avvio di qualsiasi trattativa – e le materie “No-LEP”, alle quali, invece, tale condizione non si applica. In tal caso, invece, la Corte ha scelto la strada della interpretazione adeguatrice: anche nelle materie “No LEP”, se lo Stato intende accogliere una richiesta regionale incidente su un diritto civile o sociale, occorrerà la previa determinazione del corrispondente LEP (e del relativo costo standard). Opzione che sembra rendere possibile l’avvio immediato del percorso di riconoscimento dell’autonomia differenziata, spostando ad una fase successiva (l’approvazione parlamentare, o, ancor più oltre, il giudizio di legittimità semmai sollevato sulla legge di approvazione dell’intesa) la verifica dell’eventuale incidenza della funzione trasferita sul godimento di un diritto civile o sociale. Si tratta di una verifica puntuale che, per quanto importante, appare operazione diversa dalla previa definizione – e relativa quantificazione finanziaria – del livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale in un determinato ambito materiale; operazione che, quantomeno in alcune materie (come la protezione civile, peraltro, al centro delle trattative in corso) sarebbe invece necessaria, prima e a prescindere dall’eventuale vulnus all’eguale godimento di diritti che possa derivare dall’attribuzione di nuovi poteri ad alcune regioni. Se questa fosse la conseguenza della lettura della Corte, ovvero, la possibilità che i LEP vengano fissati sulle singole funzioni a seconda delle richieste regionali, e non in un’ottica preventiva e di sistema, verrebbe meno, in queste materie, quella funzione di omogeneizzazione, ma anche di progressione del livello di tutela dei diritti che costituisce il primario scopo della definizione dei LEP. Questo stesso obiettivo dovrebbe condurre, del resto, il legislatore – a prescindere dal percorso che avrà l’attuazione dell’art. 116, comma 3 – ad individuare le prestazioni essenziali da garantire in tutti i settori in cui vi sia già una disparità di fatto nel godimento dei diritti. Anche sul punto, forse, la Corte avrebbe potuto – come in altri casi ha fatto – ribadire in modo più netto l’esortazione al legislatore ad individuare al più presto i principi e criteri direttivi volti a orientare la definizione dei LEP negli ambiti in cui, anche in base alla ricognizione effettuata dalla CLEP, il quadro normativo sia più carente nella definizione puntuale del livello di prestazioni esigibili da parte dei cittadini (com’è, tuttora, il caso dell’assistenza sociale). Il rischio che tutto resti nuovamente fermo, specie laddove venisse dichiarato ammissibile il referendum abrogativo (la decisione è ormai imminente), è purtroppo forte.
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